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Cosa significa davvero essere un fotografo di famiglia?

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In questi giorni mi sono fermato a riflettere.

Faccio questo mestiere da più di dieci anni, ma ogni tanto sento il bisogno di tornare alla domanda più semplice (e forse più importante): Cosa significa essere un fotografo di famiglia?


Non è solo una questione tecnica

Nel tempo, certo, si migliora.

La mano è più sicura, la luce si legge quasi d’istinto, il flusso di lavoro diventa più fluido.

Ma col passare degli anni ho capito che non è la tecnica a fare la differenza.

O meglio, non da sola.

La vera evoluzione, per me, è avvenuta nella cura.

Nel modo in cui entro in relazione con chi ho davanti, nel rispetto con cui mi avvicino alle persone, nella consapevolezza che ogni scatto contiene qualcosa di unico e fragile: un legame.

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Le emozioni contano più della posa

Uno degli insegnamenti più importanti che ho ricevuto è questo:

Se una famiglia si sente bene durante la sessione, nelle foto rivedrà sé stessa. Se invece si sente a disagio, nelle foto vedrà solo il fotografo.

Ed è qualcosa che oggi tengo sempre a mente.

Per questo, la mia priorità durante ogni servizio è mettere a proprio agio i genitori, i bambini, le coppie in attesa.

Che sia in studio o all’aperto, non cambia.

Il ricordo si costruisce lì, in quel momento, non solo nello scatto finale.


La magia silenziosa di una sessione maternità

Pensa a un servizio di gravidanza.

È forse uno dei momenti più delicati ed emozionanti che possa capitare di fotografare.

In quelle sessioni, cerco sempre di creare una sorta di bolla.

Uno spazio protetto dove i futuri genitori possano sentirsi liberi di essere sé stessi, senza pressioni, senza pose forzate.

Mi interessa che vivano la loro intimità con naturalezza, perché sarà proprio quella intimità a trasformarsi in un’immagine carica di significato.

Un ricordo che parla di attesa, di amore, di connessione.

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Rivivere i propri ricordi

Un altro aspetto che mi sta a cuore è questo:

In una fotografia, il fotografo non deve vedersi.

Non intendo tecnicamente, ovviamente.Parlo dell’atteggiamento.

Il fotografo di famiglia, per come lo intendo io, è quasi invisibile.

È presente ma discreto, accompagna ma non dirige, osserva ma non impone.

Perché l’obiettivo non è mostrare quanto siamo bravi noi.

L’obiettivo è far sì che chi guarda quelle foto, tra uno, cinque o vent’anni, possa dire:

"Sì, eravamo proprio noi. Così eravamo. Così ci sentivamo."

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Non è un mestiere. È una responsabilità.

Essere un fotografo di famiglia è molto più che scattare belle foto.

È entrare nelle vite delle persone con delicatezza, custodire la loro storia, creare immagini che abbiano senso anche fuori dal tempo.


Immagini che sappiano parlare di quel legame, anche quando gli anni saranno passati.

Perché, alla fine, questo è il punto:non facciamo semplici fotografie.

Creiamo memoria.

Memoria che emoziona, che resta, che racconta chi siamo stati.


Fabio

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